Biografia

“Il suo laboratorio è un’officina delle idee. E’ lì – in mezzo a mobili da restaurare, terracotte, tele arrotolate – che abbozzano o prendon forma le sue opere artistiche. E’ come trovarsi dietro le quinte di un teatro, dove trovi mille cose gettate alla rinfusa, ma tutte con un loro fascino.

Lui è Massimo Facheris, 53 anni, di Villa d’Almé. Restauratore di professione, nelle sue mani sembrano riprendere vita e vigore quei pezzi del passato: cassettoni, madie, armadi e altro ancora, che ognuno di noi vorrebbe avere fra i mobili di casa. Ma con le sue mani dà sfogo al suo spirito creativo e al suo estro, che sfociano e prendono corpo in opere singolari e soprattutto uniche.

La sua arte sembra dettata dau una esigenza interiore, certamente influenzata dallo stile di alcuni maestri bergamaschi, come pure da lezioni accademiche.

Se è pur vero che Facheris ha avuto come iniziatore un maestro del calibro di Carlo Previtali, almeno per quanto riguarda il disegno, se è altrettanto vero che si è abbeverato all’Accademia Carrara alla fonte di artisti noti come Marra e Longaretti, va pure aggiunto che, per quanto riguarda la scultura, è da ritenersi esclusivamente un autodidatta. Dunque Facheris trae spunto e ispirazione dal maestro, da quel mondo magico e misterioso popolato da personaggi mitologici e dalla natura, tipico di Previtali, ma al tempo stesso lascia con la sua impronta un segno nuovo sulle sculture.

Oltre vent’anni fa, l’artista di Villa d’Almé aveva potuto assaporare il successo, sia pure fugace, che avevano riscosso le sue opere ad alcuni concorsi locali. Così era accaduto nel 1986 al circolo Greppi di Bergamo dove ottenne il secondo premio grazie all’opera “Testa di donna”; l’anno dopo mise invece le mani sul primo premio con “Metamorfosi”. Una sua opera finì persino sulle pagine di Panorama.

Nonostante in questi anni il percorso artistico si sia incrociato inevitabilmente con l’attività professionale di restauratore, di fatto però non si è mai interrotto e il desiderio interiore dell’artista non si è mai sopito.

Così Facheris ha ripreso in mano quel filo d’artista e lo ha lavorato fino a farlo diventare una corda robusta; ha ripreso le terrecotte e ha ricominciato a forgiare e modellare. Previtali gli ha fatto scoprire il mondo classico e la mitologia greca e lui l’ha rivisitata con sue opere con un linguaggio plastico e ricco di suggestioni.

Il mondo di Facheris è dunque un mondo fantasioso e fantastico, dove sbucano diavoli, streghe e folletti, come quello di Colle Aperto che ha raccontato Padre Donato Calvi nelle sue celebri “Effemeridi”. Un mondo che non fa paura anche se vi saltellano orchi, Dracula, serpenti, maschere orripilanti. E persino scheletri, come quelli dipinti dal Bonimini nella Chiesa di Santa Grata Inter Vites a Bergamo Alta, che hanno colpito la memoria di Facheris fino a spingerlo a replicarle in chiave moderna in alcune sue tele, oggi lasciate in un angolo, ma non abbandonate della sua officina delle idee.

ma è certamente la mitologia che lo attrae: il Minotauro e la medusa sono i soggetti preferiti. L’artista non disdegna altre forme e personaggi: dagli elfi al Gobbo di Notre Dame, dal fauno alla sirena, al tritone. Alcune sculture fanno il verso all’Arcimboldo, come Bacco, altre rappresentano pastori, contadini, altre ancora sono maschere e volti dalle smorfie più insolite e curiose.

Se la terracotta ma anche il cemento – è il materiale povero preferito dall’artista, a ciò Facheris aggiunge talvolta smalti e doratura che conferiscono un aspetto decisamente moderno alle opere.

Ora il percorso di Facheris sembra nuovamente deviare verso orizzonti più concreti. E’ caso dei cardinali, che nulla hanno a che vedere con chi sa quale conversione se non artistica, ma che segnano il momento attuale della sua produzione artistica. Tirato il tendone del teatro visionario gremito di personaggi mitologici, Facheris vuole ora calarsi nella realtà riprendendo quelle figure religiose, carinali, papi, Cristo sofferente, che lo hanno sempre impressionato, ma che fin’ora, forse per timore reverenziale, non aveva mai voluto far uscire dalle sue mani.”

E.R.